IL PROGETTO

LA RIAPERTURA DEI RIFUGI ANTIAEREI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

Ci sono posti che, per fortuna, esistono soltanto nel nostro immaginario. E la comprensione che ne abbiamo è soltanto una proiezione parziale che non riesce minimamente a riconsegnarcene la percezione emotiva. Per questo motivo è necessario possederne fisicamente la conoscenza. Non leggerne, non ascoltarne il racconto, non osservarne le fotografie. È indispensabile andarci, materialmente. Entrarci. Occuparne lo spazio. Respirarne l’aria. Ascoltarne il silenzio. Lasciare che il luogo si faccia strada nella nostra anima. Soltanto così saremo in grado di comprenderne davvero il significato. I bunker antiaerei di Dalmine, di Ponte San Pietro, di Sesto San Giovanni e Brescia sono uno di questi luoghi. Costruiti in adiacenza delle fabbriche, obiettivi militari sensibili (tutti presi di mira dai bombardamenti alleati del 1944), avevano la funzione di proteggere le maestranze da attacchi aerei nemici.

Possiamo soltanto fantasticare su come potessero essere fatti senza, probabilmente, riuscire a comprendere il sentimento di chi quelle stanze le ha occupate per interminabili minuti, eterne ore, infiniti giorni. Per un tempo che appariva non finire mai. Si tratta di spazi sotterranei che evocano un periodo storico terribile per il nostro Paese. Scoprire questo spazio, ascoltare le vicende umane occorse, toccare le pareti di gelido cemento di queste stanze, chiudere gli occhi e immaginare tutte le profonde paure, le opprimenti ansie, i legittimi timori di coloro che scesero correndo i centoventi gradini che li avrebbero potuti separare dalla violenza di un imminente bombardamento, per nascondersi, rannicchiandosi nel proprio dolore, terrorizzati dal pensiero di poter perdere quello che rendeva la vita bella da essere vissuta: la propria casa, i propri familiari, i propri amici. Entrare in questi luoghi è un invito a farci costruttori di pace. Perché soltanto chi non ha toccato emotivamente l’insensatezza della guerra può considerarla una opzione umanamente percorribile e non ripudiarla, con determinazione e disgusto, a prescindere.

Se siamo davvero il risultato della storia che ci ha preceduto, cosa ci hanno insegnato i libri e le riflessioni sul senso delle guerre legate a conflitti politici, a mire espansionistiche, a ragioni economiche? I bunker antiaerei di Dalmine, di Ponte San Pietro, di Sesto San Giovanni e Brescia sono spazi ignoti e imperscrutabili, emotivamente labirintici, realissime icone di un tempo dolorosamente vicino. Anche se sono trascorsi meno di cento anni dalla Seconda Guerra Mondiale, mai come oggi, l’incubo di un conflitto che potrebbe coinvolgerci è più reale e vicino che mai e venire a vivere un luogo altamente simbolico come questo è in grado di farci cogliere il significato primo del conflitto. La sua mancanza di senso. La sua irragionevolezza di mettere l’uno contro l’altro individui o civiltà che nemmeno si conoscono e che si odiano soltanto per sentito dire.

E, anche se tutto rimanda al tema dominante della morte o della paura della morte, è allora un bisogno di vita, di luce, quello di cui ci parla questo lavoro. Della vita che è infinitamente più grande e importante di qualsiasi guerra, di qualsiasi ragione, di qualsiasi ordine. Metterli in rete e renderli fruibili rappresenta una operazione di recupero e di valorizzazione che intende riconsegnarci la ricostruzione materiale e fisica di una storia importante e significativa del nostro territorio e delle nostre comunità. Progettati per garantire, sotto strati di terra e cemento armato, la sicurezza dei lavoratori delle aziende di queste città, il bunker è oggi oltre un concetto sentimentale, un contenitore di storia e di storie che possono emotivamente riconnetterci ai sentimenti di coloro che al suo interno si rifugiarono per scampare alla morte. La narrazione mostra come i movimenti della storia siano sovente ineluttabili e che le grandi sofferenze e i disastri possano essere inevitabili ma che in ogni fuggevole momento, grazie a strumenti di difesa come questi, si possa aprire una nuova possibilità. La pace è il bene più prezioso che possiamo conservare e trasmettere alle nuove generazioni e toccare con mano un luogo sotterraneo come questo può aiutarci a meglio comprendere come vivere, come attraversare i momenti più oscuri. Per questo il progetto di rete e di valorizzazione è richiesta quanto mai attuale e necessaria.